Ansia, un termine sempre più frequente ed utilizzato nella nostra società. Ormai troviamo articoli ovunque che trattano questo argomento, analizzandone cause, evoluzioni e ogni possibile forma di soluzione. Recentemente si è anche conquistata a pieno titolo il ruolo di co-protagonista in un famoso film d’animazione della Pixar.
Ma siamo proprio così sicuri che sia sempre un problema da risolvere? Un fenomeno da eliminare il prima possibile, portatore di disagio e malessere?
Forse può sorprendere sapere che, nelle sue manifestazioni più elementari, l’ansia è considerata una risposta evolutiva utile, quasi necessaria all’essere umano.
Proviamo a fare chiarezza.
Chi non ha mai sperimentato quella sensazione di tensione e agitazione, prima di un esame o di un evento importante? Una sensazione fisica, a tratti spiacevole, che può tradursi in tensione muscolare, accelerazione cardiaca, respiro un po’ affannoso, stomaco chiuso che si accompagna ad uno stato di inquietudine, attenzione vigile, irrequietezza.
Cosa ci può essere di evolutivo ed utile in tutto questo? Perché mai una persona dovrebbe gioire di tutte queste sensazione poco piacevoli, invece di cercare subito un modo per eliminarle. Beh, se si pone un po’ di attenzione alle risposte fisiologiche del nostro corpo (attivazione cardiaca, aumento frequenza respiratoria…) noteremo come questi fattori si accompagnino a stati fisici legati alla vigilanza ed attivazione. Per dirla semplice, quando siamo belli rilassati sul divano, il nostro respiro e cuore hanno ritmi pacati, distesi, quasi non li avvertiamo. Quando dobbiamo invece attivarci per qualcosa, una corsa ad esempio, ecco che cuore e polmoni si fanno sentire.
L’ansia, nella sua forma più semplice, è un modo con cui la nostra mente e il nostro corpo ci mettono nelle condizioni di attivarci, di porre attenzione a quello che ci circonda, di pre-occuparci: prima di un esame, ad esempio, ci attiviamo per studiare o essere più reattivi; prima di un evento importante, per tenerci pronti a rispondere a quello che può succedere. Ci possiamo immaginare l’uomo primitivo, con tanto di clava in mano, attento e preoccupato all’uscita del suo rifugio, per individuare possibili pericoli esterni. Più per noi è importante quella situazione, più l’attivazione avrà modo di essere presente. Meno ci interessa, più è facile che ci lasci impassibili. Questo di per sé non è un problema. Il pre-occuparci allerta la nostra attenzione, alla ricerca della migliore gestione della situazione. Il vero problema è quando questa attivazione è eccessiva, quando è così forte da attirare su di se’ tutta l’attenzione lasciandoci completamente in balia di queste sensazioni e quindi poco orientati all’evento che dobbiamo affrontare (ricordiamo un po’ tutti la sensazione di tabula rasa della nostra mente, il vuoto assoluto davanti alle domande di un esame che credevamo di superare senza problemi).
Perché quindi, qualcosa che dovrebbe esserci utile, tanto da essere diventata una risposta evolutiva funzionale, che ha salvato i nostri antenati dai predatori più feroci, si trasforma nel nostro peggiore nemico, facendoci fare scena muta ad un esame o la figura del baccalà ad un colloquio di lavoro?
Perché si perde l’equilibrio tra quello che è lo stimolo da affrontare (l’esame) e la padronanza delle nostre risorse (capacità di concentrazione, preparazione delle conoscenze, fiducia in se stessi…).
Che sia chiaro: non vogliamo qui banalizzare un argomento molto ampio, che tocca molteplici ambiti, anche quelli psicopatologici, per i quali risulta utile e necessario rivolgersi a figure professionali adeguate, si vuole solo invitare a riflettere, che nella nostra quotidianità, l’ansia può essere un modo con cui la nostra mente-corpo, sta cercando di comunicarci qualcosa. E prima di accanirci a farla tacere ed eliminarla, andrebbe un attimo ascoltata, per vedere se si riesce a cogliere cosa voglia effettivamente dirci.
Se la sua natura è “buona”, allora forse ascoltandola ci potrebbe rivelare che quella strada non fa per noi, che se quell’esame ci spaventa così tanto dovremmo lavorare di più sulla nostra preparazione o autostima, che se qualcosa ci scombussola più del dovuto, forse quello stimolo richiama a delle emozioni che vanno riascoltate e definite.
L’ansia può diventare una fastidiosa lente che ingrandisce e distorce le nostre sensazioni e stati d’essere. Ma prima di bollarla come nemica da sconfiggere, varrebbe la pena di capire se sta cercando, in modo molto goffo ne conveniamo, di dirci qualcosa. E se ascoltarla è così difficile per noi, magari possiamo rivolgerci a qualcuno, come uno psicologo, che possa aiutarci a definire meglio quei sussurri agitati che questa amica incompresa cerca di portare alla nostra attenzione.
Per non cadere nel tranello di provare ansia per la nostra ansia.